2015: I VENTI DISCHI MIGLIORI (più altri 20 di riserva)

ED ECCOCI ARRIVATI……… al solito giochino di fine anno con i migliori 20 dischi da segnalare. Qui ho provato a sintetizzare il meglio dell’annata, ovviamente sapendo che molte cose rimangono fuori. Alcuni video possono servire a farsi un’idea della qualità di alcuni album. Alla fine della carrellata ho indicato anche qualche …. nome non inserito che sarebbe comunque “meritorio non dimenticare”. Buon ascolto a … auguri!

1- Tom Russel, The Rose of Roscrae

La più grande sfida musicale degli ultimi anni porta, ovviamente, il nome di un maestro. Credo che Tom Russel sia oggi in assoluto uno dei più grandi songwriter del pianeta e la sua maturità e poliedricità umana, professionale e artistica lo porta a pensare cose che altri neppure sognano. Rose of Roscrae è un’epopea storico-culturale: un amore infranto diventa fuga, si trasforma in emigrazione, in vita di frontiera, tra gamblers, cavalli, furti, omicidi, whisky e puttane, prima della possibile redenzione in un doppio Cd immenso per intuizione e realizzazione, che racconta la storia dei ragazzi degli States negli ultimi due secoli, partendo dalle loro radici europee. Citazioni, belle canzoni, tanti ospiti e registrazioni (anche) d’epoca. E una manciata di capolavori (Damien, Hair Trigged Heart…), tra cui la titletrack, in doppia versione maschile-femminile, più Guadalupe, Just a Closer Walk With Thee, Gallo del Cielo, Raglan Road, Jesus Meet the Woman at the Well. Un lavoro monumentale.

2-Widespread Panic, Street Dogs

Non so se è il più bel disco di John Bell e compagni, ma sicuramente è un capolavoro. Le canzoni ci sono (con anche tre cover), ed ora più che mai Jimmy Herring è un propulsore perfetto. Inoltre il cd è live in studio. Come un concerto. E la jam attitude è splendente, come dimostra l’iniziale Sell Sell o la “santaniana” Cease Fire. Il tutto finisce nella citazione littlefeatiana di Welcome to My World e nel rock (decisamente dead-iano) di Street Dogs For Breakfast. Diciamo allora che è il più bel Cd della band da Earth to America.



3-Sugaray Rayford, Southside

Da tanto tempo non si sentiva un disco blues così calibrato e poderoso. Sugaray è il miglior cantante della sua generazione, immensamente influenzato da Solomon Burke. Sentire la titletrack e Slow Motion per credere. Alle chitarre Gino Matteo (Bloomfield docet) fa un lavoro superlativo, ma Sugaray (che è anche vocalist degli insuperabili Mannish Boys) è il leader da 130 chili attorno a cui tutto ruota, tra gospel-blues e quel tanto di soul che non guasta.

4-Mighty Sam McClain, Tears of the World

L’ultimo vecchio della autentica soul music ha registrato in Norvegia e poi ci ha lasciato. Alcune interpretazioni sono da leggenda: Promised Land (è un pezzo che avrebbe fatto la gioia di Muscle Shoals nella metà degli anni Sessanta) e Jewel sopra tutte le altre. Emerso sulla scena da una ventina d’anni, ha lasciato questo album come eredità e memoria.



5-The Kentucky Headhunters and Johnny Johnson – Meet Me In Blues Land

Il vecchio e sano rock’n’roll quando incontra il blues e rimane radicato nel southern rock: ecco il solito bel pastone proposto dai Kentucky Headhunters. Tornano dopo un po’ di silenzio discografico Greg Martin, Doug Phelps e i fratelli Young, insieme al vecchio amico e leggenda Johnny Johnson. Strepitosa la title track (“and I’ll take my old guitar… but right now we’re gonna play my piano..”), come pure la versione di Little Queenie e Fast train.

6- Shemekia Copeland, Outskirt of love

Settimo disco e perfezione raggiunta per la figlia d’arte. Blues e soul attraverso l’interpretazione di una manciata di classici, da Jesus just Left Chicago (ZZTop) a I Feel a Sin Coming On (Solomon Burke). Ospiti stellari, disco blues perfetto, interpretato con grinta e passione.

7-Victor Krummenacher, Hard to See Trouble Coming

E così zitto-zitto il bassista dei Camper Van Beethoven incide il suo disco migliore. Belle canzoni, ottime le atmosfere roots e gli echi da Dwight Yoakam, da If I Could Only Close My Eyes a Kildalton Cross. E comunque un disco da un titolo così, da solo merita la citazione e All of This Is Mine è un capolavoro, con un approccio dark che farebbe invidia a Mark Lanegan…

8 – Lizz Wright, Freedom and Surrender

E’ la nuova regina della soul music, quella autentica, suadente e nera, sensuale e non campionata. Surrender, Somewhere Down the Mystic e To love Somebody sono i punti più alti di una produzione lussureggiante, da ascoltare e riascoltare, nella quale si passa con un’eleganza che è sconosciuta ai più dal jazz al soul-pop, in una forma che Erikah Badhu si è sempre scordata. Se ci fosse giustizia nel mercato venderebbe un miliardo di dischi all’anno.



9 – Victor Wainwright, Boom Town

Un pianista strepitoso, una voce potente e pastosa per un disco che lo porta alla definitive consacrazione. Wainwright, nativo di Savannah (dolce Savannah) suona e interpreta da navigatissimo interprete bei blues in cui si sente l’aleggiare di Dr. John, Little Feat e New Orleans (Genuine Southern Hospitality), in un mix di delta (When the Day is Done), boogie (Savannah Piano Boogie: folle discesa nella velocità pianistica) e Chicago Blues. Il tutto termina con l’inquietante Devil’s Bite e con la strepitosa incursione di Wildroot Rumble.


10 – Doug MacLeod, Exactly Like This

E’ l’anno di Doug, per mille motivi. Prima un live finalmente degno dei suoi concerti, e poi una produzione (questa) che finalmente riconosce la qualità della sua scrittura e della sua tecnica compositivo-esecutiva. Mettere l’orecchio su Heaven’s the Only Place e sull’immensa Find Your Right Mind dovrebbe convincere ogni restio: un po’ come se il Ry Cooder della frontiera tex-mex fosse riemerso dai suoi peregrinaggi in giro per il mondo. Dategli una slide e Doug vi capovolgerà il mondo.

11 – Randy Bachman, Heavy Blues

Ritorno con I fiocchi per un chitarrista spesso dimenticato. Con lui uno stuolo di amici o giovani conprimari (Neil Young, Joe Bonamassa, Robert Randolph, Peter Frampton….). Bei rock tirati, suoni aggressivi al punto giusto (soprattutto in Bad Child e The Edge, chiaro omaggio agli Who), con un finale sincero e autentico come We Need to Talk. Scelta insolita alla sezione ritmica: due donne che hanno grinta e peso da vendere. Gran disco.

12 – Rhiannon Giddens, Tomorrow is my turn

Primo disco solista per la musicista dei Carolina Chocolat Drops ed è un lavoro immenso che si dipana tra classici e piccole perle del passato. Delicato ma forte, il disco della violinista di Grensboro offre miriadi di sentimenti e panorami: traditional folk, alternative country, bluegrass: si sente lo spirito di Odetta (Waterboy), della miglior Michelle Shocked, ma con sprazzi jazzati e suggestioni da Nina Simone.



13. Seasick Steve, Sonic Soul Surfer

Un autentico outsider, Seasick Steve realizza il suo disco più bello, sporcando i suoni delle sue slides. Roots’n’rock in formato verace, il tutto registrato (come accade spesso ultimamente) in Scandinavia, dove Steve si è trasferito come Eric Bibb. Si sente lontana la spinta di Luther Dickinson, ma Summertime Boy, We Be Moving e Heart Full of Scars ti portano in un universo di fiumi, cuori, fumo, alcool di difficile ritrovamento altrove….

14 – Emmilou Harris and Rodney Crowell, The Travelling Kind

Bellissimo lavoro per una coppia di leggende che ritorna a collaborare dopo anni: raffinatissimo nei duetti (No Memories Hanging Around), evocativo nei classici (Higher Mountains), perfetto nei mainstream (I Just Wanted to See You So Bad). Difficile trovare una pecca o un lontanissimo calo di tensione. Il pezzo più incalzante e imprevedibile? The Weight of the World



15 Gretchen Peters, Blackbirds

Sentire la titletrack equivale ad innamorarsi al primo sguardo-ascolto del nuovo disco della Peters. Ogni tanto gioca a fare la Lucinda Williams, ma la sua scrittura ha un nervosismo iperteso che nessuna signora del country riesce ad interpretare. Gli altri pezzi da novanta dell’album sono la rarefatta The Cure for the Pain e la cupa Everythings Falls Away. Anche questo lavoro dimostra che gli autori più imprevedibili del country, oggi sono le signore con la chitarra. E il discorso vale per Gillian Welch e (poi, più sotto) per Patty Griffin.



16 Trey Anastasio, Paper Wheels

Tranquillo, sereno, leggero, fisicamente ritrovato, Trey gioca da solo la carta di un album bello e solare. I pezzi sembrano usciti dalla session 2009 di Joy e Oncelot, per quanto sono equilibrati e godibili, più spontanei di quelli di Fuego. C’è sempre una Steely-Dan sottile ispirazione che negli ultimi anni avvolge la scrittura di Anastasio e non è detto che questo sia un male. The Song, Liquid Time (che sembra uscita dalla penna di Mark Knopfler) e Something After Sunset sono i titoli migliori di un ottimo album, come sempre ricco di fiati, come dai tempi live di Plasma.

17 – Warren Haynes and Railroad Earth, Ashes and Dust

Lo ammetto: da Warren più Railroad mi aspettavo il disco del secolo. Invece…. è solo un bellissimo disco. Scherzi a parte: Warren è iperproduttivo e non sempre tutto ha lo stesso livello. Ma guai sottovalutare Ashes and Dust, per il suo suono folk-rock antico (Is It Me or You , Glory Road e Hallelujah Boulevard soprattutto) si piazza dalle parti dei nipotini di Music From Big Pink, subendo più di altri l’influenza di un certo Robbie Robertson.



18 – Patty Griffin, Servant of love

Continua il discorso fatto su Gretchen Peters: il country-folk meno allineato, più sensibile e innovativo sembra venire dalle signore, come già mostrato da Gillian Welch negli ultimi anni. Il cd della Griffin è plumbeo, palpitante e ombroso, come mostrano Gunpowder e Noble Ground. Bello, mai scontato e noir. Anche quando – in You Never Asked Me – tocca le corde del sentimento…

19 – James Harman, Bonetime

Altro disco blues da altissima classifica. Harman, armonicista bianco dell’Alabama da anni trapiantato in California, è uno che ha suonato pure con Muddy Waters e BB.King, e ha realizzato quest’anno il miglior disco della sua lunga carriera in cui non sono mai mancati il blues sporco e le ispirazioni da Chicago. Affiancato da una band stellare (Junior Watson, Kirk Fletcher, Carl Sony Leyland….) Harman mette in scena uno show discografico in cui si passa sempre con atmosfera ruvida dall’hony tonk al southern soul senza mai perdere il bandolo della matassa.



20 – Chris Stapleton, Traveller

Non è un esordiente di primo pelo, ma questo è comunque il primo disco di Stapleton solista appena uscito dai Steeldrivers (che comunque han fatto un ottimo album: The Muscle Shoals Recordings). Negli Usa ne incensano voce e scrittura per la bella Sometimes I Cry ed in effetti ha una voce rauca al punto giusto. La lentissima Tennessee Whiskey e Outlaws State Of Mind sono le perle.


MA NON DIMENTICHIAMO I SUCCESSIVI 20:

21-JOE ELY (Panhandle Rambler), 22-RONNIE EARL (Father’s Day), 23-DON HENLEY (Cass County), 24-WILLIAM ELIOT WHITMORE (Radium Death), 25-WATERBOYS (Modern Blues), 26-ALABAMA (Southern Drawl), 27-ROBBEN FORD (Into the Sun), 28-BLACKBERRY SMOKE (Holding All The Roses), 29-BERNARD ALLISON (In the Mix), 30-GRAHAM PARKER (Mystery Glue), 31-BO DEANS (I Can’t Stop), 32-NICK CAVE (Live in UK), 33-JOHN GINTY (Live), 34-JASON ISBELL (Something More then Free), 35-WILCO (Star Wars), 36-MR SIPP (Mississippi Blues Child), 37-MY MORNING JACKET (The Waterfall), 38-CEDRIC BURNSIDE (Descendants of Hill County), 39-THE DESLONDES (The Deslondes), 40-STEVE EARLE (Terraplane).

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