Non è che bisogna girargli troppo intorno: JOE ELY è un personaggio d’altri tempi. Ed il suo nuovo LOVE AND FREEDOM è musica senza infingimenti e senza mezzi termini. Il texano, che personalmente adoro soprattutto per Honky Tonk Masquerade e Letter to Laredo oltre che per l’elettrizzante Live Shot (registrato durante un tour con i Clash), se ne esce con un album fortemente politico, proprio nel solco dei più autentici outlaws e nel vero spirito sociale e polemico di Woody Guhrie e Pete Seeger, proprio nell’epoca del biopic dedicato a Dylan.
Da Woody arriva una versione tesissima e borderline di Deportee, interpretata con Ryan Bingham, una canzone-scelta di campo non indifferente se oggi si decide di cantare “Addio al mio Juan, addio Rosalita; Adiós mi amigo, Jesus e María; Non avrai un nome quando viaggerai sul grande aereo; Ti chiameranno solo Deportato”. A seguire Ely interpreta un classico di Townes Van Zandt, Waiting Around To Die (in una versione magnifica, con la voce e la rabbia di Joe Ely ai suoi massimi), e Magdalene di Guy Clarke. Ovunque si respira vento tex-mex e ispirazione tejana, con accordion e steel guitar in bella evidenza, con il folk rock ed il country di Today It Did e Shake ‘em Up a confermare le radici del musicista texano.
Ma un paio di canzoni nuove si prendono la scena, e sono What Kind of War (Ma che tipo di guerra dovremmo combattere? Una guerra di follia? Di dominio?) e No One Wins (scritta dopo una visita a Ground Zero), esempi chiari di rifiuto di una logica armata, guerrafondaia e idiota di vedere il presente.
Sembra un disco d’altri tempi, potremmo azzardarci a definirlo “un disco di fiera e combattente protesta”, perché nei suoi solchi ci sono i vecchi folksinger incazzati, ma c’è anche quello spirito pacifista che aveva creato la stagione hippy di San Francisco o la carovana No Nukes alla fine degli anni ’70. Al di là delle eredità l’album ci riconsegna la purezza e la forza di Joe Ely, che non sta passando un periodo di grande salute e che quindi per ora non ha tour già previsti ed organizzati.
Un disco decisamente politico, si diceva. Oggi il coraggio di incidere cose così ce l’hanno (quasi) solo lui e Drive By Truckers (il loro American Band ne è l’esempio più diretto). E quindi, come sempre, long live to the South.