Un disco che si apre con una frase che è una presa di posizione: In principio era la gioia. Un album di dieci brani ispirati alle tradizioni sacre di oriente e occidente, che ha quella “gioia” iniziale come chiave di lettura. Insomma: ci vuole un certo coraggio per fare un disco come Mistiche Ribelli. Ma evidentemente gli ENTEN HITTI ci hanno già dimostrato che il coraggio a loro non manca, loro che hanno inciso Musica Humana e Via Lattea, tra i maggiori lavori sperimentali e psichedelici della produzione italiana degli ultimi decenni. Li avevo finalmente incontrati (di persona non mi era mai accaduto) quando avevamo fatto a Lodi una bella serata-tributo a Claudio Rocchi grazie all’impegno di tanti, soprattutto di Andrea Zampieri e di Pierpaolo Curti. Ed ora ecco Pierangelo Pandiscia che si rende disponibile a raccontare qualcosa del loro ultimo bellissimo disco. Un lavoro che – Madre concedi pace, Concedi amore, Concedi luce agli occhi del cuore, Tu sei silenzio, Tu sei rumore, Tu sei luce e tenebra e goccia nel mare – ti circonda e ti lascia in un stato emozionante grondante di sacro e di vibrante pacificazione.
WG – Allora Pierangelo: “mistiche ribelli”. Perché questo titolo?
PIERANGELO PANDISCIA – Per un motivo semplice, per concretizzare l’idea di rappresentare e dar voce alle vie dei mistici e delle persone che nei secoli – al di là delle latitudini – hanno buttato il proprio cuore in una via di ritiro dalla società mondana e di ricerca della verità oltre ai condizionamenti. Crediamo che qualunque persona si dedichi a questo tentativo è implicitmente ribelle rispetto alle condizioni e maschere sociali.
WG – Quindi un disco di ricerca e di ribellione….
PP – Sicuramente si: se si parla di essenza e di verità delle cose della vita, non ti puoi adagiare nelle mezze verità del potere di turno… Dopodichè si può anche affermare che il mistico non sembra un ribelle perché non pare entrare nel contrasto e nel conflitto. Ma invece, a guardarlo in profondità, la sua pratica è distante dai luoghi del potere. La sua ricerca è ribelle, perché si aggrappa solo alla gioia ed all’essenza delle cose ultime.
WG – E la frase che apre il booklet dell’album, dove l’avete recuperata?
PP – “In principio era la gioia” è il titolo di un volume di teologo americano, Matthew Fox, che ripercorre la vita dell’uomo a partire da uno sguardo positivo che mette l’umanità in un nuovo contatto con il cosmo.
WG – E’ una dichiarazione di religiosità?
PP – Direi di no. La componente religiosa non c’è e non c’è mai stata nella nostra produzione. Ci interessa l’idea del sacro, di ciò che sta prima della religione. C’è qualcosa di sacro nel mondo a cui desideriamo dare voce.
WG – Da L’uomo di Dio a Mantra delle Onde, da San Francesco agli occitani medievali: perché avete scelto proprio questi brani per il disco?
PP – Sono scelti per puro caso. Potevamo anche seguire un metodo più rigoroso o filologico, ma invece è venuta così, diciamo per vicinanza ed istinto. Personalmente sono un estimatore della poesia di Al Din Rumi e delle parole di San Francesco, come di tanti autori provenzali. C’è anche da dire che pur nella diversità, questi autori erano accomunati dagli stessi secoli, e questo porta indubbiamente affinità e rispecchiamenti.
WG – In quanto tempo è nato questo album?
PP – Diciamo circa un anno e mezzo. Che rispetto ai nostri tempi abituali è una gestione breve.
WG – Dopo la Via Lattea cosa vi ha tenuti impegnati?
PP – Dopo il ciclo della Via Lattea è emersa quasi naturalmente l’idea di questo nuovo lavoro, ed in qualche modo siamo partiti dai testi, identificando quelli su cui sarebbe stato bello lavorare e sviluppare armonie. Siamo partiti dal concetto di ripetizione armonica senza andare a cercare una musica coerente ritmicamente con le parole…
WG – Si può dire che siete entrati nella logica compositiva dei mantra?
PP – Diciamo che il concetto è quello. Ci siamo mossi avvicinandoci alle composizioni di Steve Reich, Philip Glass e Terry Riley: abbiamo cercato un linguaggi di incastri e flussi di stati melodici che si integrano con coloriture dei suoni del mondo.
WG – I brani del vostro disco si susseguono e coinvolgono chi ascolta in un ambiente prima etnico, poi classicheggiante, poi sperimentale. Cosa stavate cercando mentre componevate?
PP – Faccio qualche esempio: Mantra delle Onde era partito con un semplice riff pianistico a cui poi abbiamo dato ampiezza introducendo gli archi. Il gong ed il santoor evocano ambienti e colori etnici. Dal canto suo Carmen D’Onofrio – eccezionale – ha proposto una vocalità intima e pacata sia a L’uomo di Dio che a Mater Mantra. E quindi, cosa cercavamo? Un modo non monocorde di interpretare il misticismo degli autori con cui siamo entrati in contatto. Cercavamo il punto di espressione più ricco, multiforme e… ribelle.
WG – Non è un concept album, ma ha una sua grande organicità..
PP – Credo che nel bene e nel male – io vedo anche alcuni difetti – il disco deve essere ascoltato tutto, con un approccio dilatato, da musica classica. L’organicità complessiva non gli manca certo.
WG – Scusa se te lo chiedo: ma oggi c’è bisogno di un disco così?
PP – Oggi credo si sia un gran bisogno di mistiche ribelli. E’ un antidoto al veleno di questo periodo storico. Veleno espresso dalla superficialità delle cose, dall’isolamento delle persone, dalla violenza. La condivisione con altri di momenti di bellezza offre la possibilità di essere un piccolo germe di comunità positiva.
WG – Chi viene a sentirvi live, cosa trova?
PP – La gente nei nostri concerti entra in relazione. Con noi, tra loro, con un universo di contenuti positivi. Personalmente quando suoniamo e vedo i volti di chi ascolta, mi sento in pace.
WG – Ci sono artisti con cui oggi vi sentite in sintonia?
PP – Tra i musicisti oggi attivi ci capita spesso di ascoltare Arturo Stalteri, i RadioDervish, pensando soprattutto al lavoro di Michele Lobaccaro con il suo lavoro sul Monte Analogo. Anche Ludovico Einaudi ha delle trame e delle motivazioni che ci interessano…
WG – Inizialmente avete avuto molti punti di contatto e collaborazione con Massimo Zamboni e Giovanni Lindo Ferretti: può riaccadere qualcosa tra voi?
PP – Ci siamo incontrati con loro ai nostri albori. Ora Giovanni ha recuperato la sua tradizione cristiana familiare, ed ha trovato una pacificazione. Con Zamboni è accaduto di re-incontrarci casualmente. Di certo l’anno prossimo “festeggeremo” come Enten Hitti i nostri primi 30 anni di attività: sarebbe molto interessante creare eventi con persone diverse che hanno fatto parte della nostra storia.
WG – Un’ultima cosa: cosa fate tu e Gino Ape quando non suonate insieme?
PP – Abbiamo percorsi variegati. Quando non lavoriamo come Enten Hitti mi occupo di musicoterapia. Ho l’obiettivo di mettere la musica in relazione con le altre arti e sto lavorando ad un progetto cinematografico che dovrebbe vedere la luce in inverno. Gino è più rilassato: legge, suona e ricerca nuovi scenari per la nostra produzione.