Steve Earle è un personaggio interessante del panorama musicale americano che non si è limitato solo a scrivere e cantare canzoni ma ha fatto l’attore, lo scrittore, l’attivista politico con molte e scomode presenze in televisione: tutto questo gli ha procurato una notevole notorietà nonostante in patria, per le sue posizioni estreme contro i vari governi repubblicani e le ingiustizie sociali, sia stato oggetto di pesanti accuse. Gli appassionati di musica, però, lo amano perché è un genuino interprete del filone Americana, ottimo musicista che ha saputo assorbire la lezione dei grandi folker per elaborare un suo particolare sound che ha modellato e raffinato nella sua trentennale carriera, a cavallo di moltissimi generi musicali. È stata quindi una grande sorpresa poter assistere ad un suo concerto nella provincia della riviera ligure di levante quando è apparso nel cartellone estivo di Mojotic per un concerto al Teatro Arena Conchiglia di Sestri Levante, ottima location – come lo stesso Earle ha sottolineato – anche se la serata proprio estiva non sembrava, nonostante il calendario segnasse 30 luglio! Verso le 22.00 è salito sul palco imbracciando la sua chitarra solo, non accompagnato dai suoi prodi Dukes e nemmeno dalla moglie Allison che spesso lo affianca nei concerti. Scioccante sorpresa per chi lo ricorda aitante sulle copertine dei suoi primi album: nonostante non abbia ancora raggiunto i 60 anni infatti Earle sembra alquanto imbolsito. È solo apparenza dato che dalla primissima canzone che dà il titolo al suo ultimo album dell’anno scorso (The low highway) riemerge la sua energia, la sua capacità di ammaliare con la voce e la chitarra, strumenti che da soli riempiono l’aria ed il cuore dei suo fan. Questo primo brano è già carico dei temi cari a Earle: il viaggio (…travelin’ now on the low highway…), la protesta contro le ingiustizie (…people linin up for something to eat…) e lo sfrenato uso delle armi (…met a man with a rifle in his hand…), la preghiera per un mondo giusto e pacifico (…and a cry for justice and a call for peace…). È impressionante come lo sparuto pubblico di non più giovanissimi fan conosca tutte le canzoni, le accompagni battendo le mani e facendo da supporto vocale a Earle che rivela, in modo crescente nella serata, la sua potenza espressiva e la tecnica chitarristica impressionante. Certo ha avuto grandi maestri: non va dimenticato, infatti, che nonostante suoni la chitarra dall’età di 11 anni la gavetta Earle la fa alla corte di Guy Clark quando partecipa alle sue prime produzioni ed in particolare, appena ventenne, a Desperados Waiting For a Train il grande successo del texano contenuto nel magnifico ed inarrivabile Old No.1. Negli stessi anni conosce un’altra icona della musica folk e country, Townes Van Zandt che cita varie volte durante la serata e, passando al mandolino, interpreta in alcuni brani pescati dal suo disco Townes del 2009, proprio dedicato all’amico. Sul palco Earle si muove agevolmente e spesso imbraccia la chitarra come un’arma non solo per effetto scenico ma per ricordare un altro dei suoi miti, Woody Guthrie, che considerava la musica una potente arma sociale scorrazzando in lungo ed in largo per l’America con la sua chitarra con su scritto “This machine kills fascistsâ€: a lui dedica la famosissima Christmas in Washington dove prega l’amico di tornare (…Come back Woody Guthrie, To us now…) per assurgere nuovamente a guida nella complicata situazione politica americana: è questa, infatti, una canzone del 1997 e nonostante sia stato appena eletto Clinton per la seconda volta, pesanti nuvole sovrastano gli USA e da lì a poco G.W.Bush tornerà alla ribalta e scoppierà la guerra in Iraq, entrambi eventi fortemente contrastati dal nostro Earle. Per farci sapere che ha appreso appieno la lezione di Guthrie ci racconta del suo vagabondare per l’America con la sua chitarra in Guitar Town, dove rimarca il concetto oramai ben noto che la sua voce non potrà essere azzittita (…But no local yokel gonna shut me down…). Approfittando della pausa per accordare la chitarra e cambiare l’armonica (“non sono tutte uguali, questa è più adatta alla prossima canzone†– dice Earle) il nostro attacca con alcuni pezzi che vanno a toccare alcuni argomenti delle sue battaglie sociali: Billie Austin (contro la pena di morte), The devil’s right hand (contro il libero commercio di armi), Cocaine cannot kill my pain (contro la droga, con la quale vinse una personale battaglia negli anni 90). Siamo ormai arrivati a quasi due ore di concerto e le ultime canzoni sono cantate in coro dallo sparuto ed infreddolito pubblico che si è oramai assiepato sotto il palco: in God is God ci racconta della sua fede, forse unico appiglio in un mondo che certo non sta migliorando; in Copperhead road, salto indietro di oltre 20 anni al suo periodo più rock, una classica saga familiare americana. Veramente una bella serata di grande musica nonostante aleggi sulla testa di tutti noi il monito che lo stesso Earle usò nel 2011 come titolo del suo libro: I’ll Never Get Out of This World Alive.
Davide Palummo, Agosto 2014