Qualcuno ha avuto la fortuna di vederlo dal vivo quest’anno nel suo lungo tour mondiale che ha fatto tappa a luglio anche in Italia (Pordenone e Gardone Riviera): si tratta di uno dei maggiori interpreti della musica dei nostri tempi, Steve Winwood.
Il musicista inglese, oramai quasi settantenne, è stato uno dei massimi protagonisti della grande stagione del rock: ha iniziato giovanissimo a suonare con lo Spencer Davis Group (1965-1967), dalla cui esperienza scaturiscono due capolavori come I’m a Man e Gimme Some Lovin’, per seguire poi con la costituzione dei Traffic (1967-1974) che produrranno alcune delle pietre miliari di quell’English Sound nato dalla contaminazione di blues, jazz e rock come Dear Mr Fantasy e John Barleycorn; seguirà la formazione del supergruppo Blind Faith (1969), da cui proviene Can’t Find My Way Home, ed un lungo periodo di produzione solista ma nel frattempo non si fa mancare collaborazioni con importantissimi musicisti (Eric Clapton, Jimi Hendrix, George Harrison, Joe Cocker e moltissimi altri) dai quali assorbirà una capacità di integrazione sonora unica al servizio della sua voce inconfondibile.
Il recente doppio CD Greatest Hits Live ripercorre tutta la carriera di Steve Winwood proponendoci versioni dal vivo di 23 canzoni scolpite nella mente di ogni appassionato di musica rock: Steve Winwood attinge dal suo personale archivio di registrazioni dal vivo per regalarci uno squarcio temporale lungo 50 anni: nota di rilievo l’altissima qualità sonora delle registrazioni come potevamo aspettarci da un perfezionista come lui. La band che lo accompagna recentemente nei suoi concerti ed in questo doppio CD è notevole: Jose Neto (chitarra), Richard Bailey (batteria), Paul Booth (sax, flauto e hammond) ed Edson “Cafe” Da Silva (percussioni). La band riesce perfettamente a ricostruire, a volte migliorare, le sonorità del passato dove il marchio di fabbrica risiede certamente nella voce spesso supportata da fiati ed organo. Questo lavoro dimostra, se ce ne fosse stato bisogno, le doti di polistrumentista di Steve Winwood con pezzi dove il suo Hammond e la chitarra emergono prepotentemente con tinte personalissime, la grandissima capacità di scrittura di canzoni che stanno attraversando il tempo senza perdere minimamente smalto ed efficacia e, ultima ma non meno importante, la timbrica vocale unica, inimitabile. Il lavoro è tutto godibilissimo e la selezione riesce anche a cogliere pezzi notevoli appartenenti ad alcune fasi minori di Winwood (ad esempio quella che va dal 1987 al 1997) ma sicuramente i momenti migliori si hanno nella reinterpretazione dei grandi classici come The Low Spark of High Heeled Boys (Traffic, 1971), Gimme Some Lovin’ (The Spencer Davis Group, 1966), Glad e John Barleycorn (Traffic, 1970).
Davide Palummo, settembre 2017
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