Dappertutto si stilano classifiche, perché mai noi di Risonanza non dovremmo fare la nostra? Dopodichè, se proprio vogliamo discuterne, diciamo che qui ognuno si fa la propria lista dei migliori e vediamo se qualcosa combacia con quelle degli altri. Comincio io, per comodità . Per fare una cosa “differente” propongo la lista dei migliori 6 (un numero che non dice niente, anche a scuola il sei è un numero senza senzo, però almeno così siamo “origgginali”). Ovviamente i “Fantastici SEI” sono in ordine sparso:Â
Ry Cooder – My name is Buddy – Da tanto tempo sua immensità Ry non dava alle stampe un disco così. Una marea di musica, tante (ma proprio tante) traditional songs rilette e riarrangiate con testi nuovi a raccontare la storia felina di un gatto di nome Buddy. Nell’elenco anche alcune canzoni sperimentali: bellissimo.
Mary Gauthier – Between daylight and dark – Povero, ma bello, forte in dignità e in poesia, questa nuova prova di Mary è un disco da conservare, meditare, assaporare. Se fosse vivo, Woody Guthrie vorrebbe Mary nei suoi concerti. E forse anche Jim Croce. Occhio ai testi…
Dickey Betts – Official bottleg – Non è un “solo un disco”, ma un enciclopedia southern: Dickey mette insieme una band spropositata (tre chitarristi, due batteristi….) e decide di buttare via l’orologio. Risultato: In memory of Elizabeth Reed di oltre trenta minuti, Jessica e Blue Sky oltre i quindici, Seven turns splendente come gli occhi della donna che ti ama…
Waterboys – Book of lightning – Ci sono alcuni titoli in questo prodotto di Mike Scott che fanno venire i brividi: mi riferisco a You in the sky, Sustain e Everybody takes a tumble. Cuore che pompa sangue verso le arterie della vita e della musica. Bentornati!
Subdudes – Street symphony – Dopo qualche anno di silenzio, i ragazzi di New Orleans ritornano con un disco che mi ha fatto molta compagnia quest’anno. Due cnzoni su tutte: No man e Poor mans paradise. Loro sono dei furbacchioni del jazz heritage fetstival, ma il disco è emozionante.Â
Lovett – It’s not big, it’s large – E’ difficile trovare dei passi falsi nella discografia di Lyle, almeno dai tempi di Joshua judge Ruth. Il texano ha uno stile che ben pochi possiedono in giro per il mondo e una band sontuosa: dove lo swing termina s’avanza il country’n’westren, dove c’è gospel si sentono echi di ballads. Così tra una South Texas girl e una Don’t cry a tear mi struggo ancora nell’idea che Lovett sia in realtà uno scrittore prestato alla musica. Quel che conta è che lui è sempre nella mia top.
Walter Gatti