Sono queste le tre parole – il titolo, Il lavoro rende liberi , tragico ricordo del campo di sterminio di Auschvitz – che meglio sintetizzano questo disco, uscito nel 1974 per la Cramps. Non è un disco facile oggi, per le sonorità e per i temi, figuriamoci negli anni ’70. Politicamente scorretto, espressione di una solidarietà che diventò sostegno ideologico a quei movimenti rivoluzionari che avrebbero portato da lì a poco alla tragedia italiana del ’77 e del terrorismo. Eppure… quello che colpisce non è tanto l’inno alla rivoluzione, ma la sofferenza, il sangue da cui nasce la rabbia. L’espressione musicale diventa lacerata, urlo di una umanità ferita profondamente dall’ingiustizia. Desiderio di giustizia “senza se e senza ma”. Un disco emblematico di un rock militante con l’idea di poter cambiare il mondo con la rivoluzione. Una musica che prima di essere opera artistica era sintesi di un clima sociale, si respirava nell’aria dei nostri quartieri e delle nostre scuole. Molti nostri coetanei percorrendo queste strade si sono persi.
Gli Area sono qui all’esordio e tra tutti spicca Demetrio Stratos che con il suo funambolismo vocale costituisce il filo rosso del disco che presenta influenze jazz e sperimentali profetiche per gli anni 70. Molte di quelle intuizioni le possiamo ritrovare negli anni successivi nel free jazz, come nella techno più spinta o nella world music.
Nazzareno Santilli