Eccoci ancora una volta al nostro consueto appuntamento per nominare il miglior disco dell’anno appena conclusosi. Come al solito la scelta è personalissima, discutibile, criticabile: per quanto mi riguarda mi sono fatto guidare non tanto dalla qualità assoluta ma dalla persistenza delle canzoni nella mia testa, da quante volte ho ascoltato e riascoltato il disco. Con quest’approccio quest’anno non ci sono dubbi e la mia scelta è Duets di Van Morrison.
Per festeggiare i suoi 70 anni Van Morrison ha recuperato dal suo enorme repertorio una manciata di canzoni relativamente sconosciute e le ha reinterpretate duettando con colleghi, alcuni del suo stesso calibro e della sua generazione altri abbastanza distanti sia come genere che come età . In ogni caso le canzoni sono state tutte riarrangiate con la solita maniacale attenzione ed adeguate alle caratteristiche vocali del partner: il risultato è veramente buono ed il disco risulta godibile e della solita qualità del migliore Van Morrison e nonostante sia una “rielaborazione del suo catalogo”, come recita il sottotitolo del CD, quindi con nessuna vera e propria novità, in realtà è molto più bello e originale dell’ultimo lavoro del 2012 Born to Sing: no plan B.
Per questo lavoro Morrison ha scelto 16 canzoni che spaziano dal 1970 al 2008 ed una serie di partner molto interessanti e la presenza della figlia Shana in un pezzo come partner ed in altri pezzi come back-vocal. I duetti in alcuni casi sembrano azzardati ma il risultato è sempre molto buono: mi riferisco ad esempio a quelli con George Benson (Higher than the world), con Clare Teal (Carrying a Torch), con Gregory Porter (The Eternal Kansas City), con Joss Stone (Wild Honey), con Mick Hucknell (Streets of Arklow) e con Natalie Cole (These are the Days). In altri casi le canzoni sembrano nate per l’accoppiata delle due voci dove, comunque, quella di Van Morrison è inarrivabile e perfetta: mi riferisco ai duetti con Bobby Womack (Some Peace of Mind), con Mavis Staples (Lord, If I Ever Needed Someone) con la figlia Shana (Rough God Goes Riding), con Taj Mahal (How Can a Poor Boy) e Michale Bublé (Real Real Gone). Ma in alcuni casi il risultato è veramente eccezionale ed emergono dei veri e propri capolavori impreziositi dalla rilettura di Van Morrison e dalla oculatissima e centrata scelta del partner: è il caso del brano con PJ Proby (Whatever Happened to PJ Proby) dove viene fuori una versione jazzata e da club della bella canzone del 2002 presente in Down the Road, sax ed hammond in grande evidenza. Stesso dicasi del pezzo con il vecchio amico Georgie Fame (Get on With the Show) proveniente da What’s Wrong With This Picture del 2003: un perfetto soul stile anni sessanta dove le due voci si mescolano perfettamente sempre accompagnate dagli ottoni. Altro pezzo memorabile è quello con Steve Winwood (Fire in the Belly) dove, forse per la prima volta in tutto il CD, la qualità delle voci è paragonabile e, nonostante la canzone non sia delle migliori del nostro Van, ne esce fuori un pezzo eccellente e le note dell’hammond riportano ai grandi periodi del Sig. Fantasy.
Altro momento altissimo è il duetto con Chris Farlowe (Born to Sing) dove la potente voce dell’uomo di Out of Time scandisce il pezzo rhythm and blues alla perfezione con Van Morrison. Da Irish Heartbeat del 1988 viene un’altra chicca del disco, la ballata con Mark Knopfler (Irish Heartbeat) dove le inconfondibili voce e chitarra dello scozzese si uniscono perfettamente alle melodie del brano.
Davide Palummo, gennaio 2016