LE NOTE DI CHIEFFO: MUSICA, CHIESA E MODERNITA’

Una delle persone più colte del globo è Andrea Pin, docente di giurisprudenza a Padova, nell’Indiana, ad Atlanta, Tel Aviv e non so più dove. Andrea ha scritto qualche riga sul mio ultimo libro dedicato a Claudio Chieffo. Onoratissimo di condividerle… WG

Il volume di Walter Gatti La ballata di Chieffo – storia di un cantautore non merita (l’acquisto e) la lettura semplicemente perché Walter è un amico. Merita anche soltanto per le battute finali, quando spiega il mistero di Claudio Chieffo e dell’ispirazione di qualunque artista: perché Chieffo non ha mai perduto davvero l’ispirazione? Cosa rende possibile alla vena di chi fa qualunque forma d’arte di non avvizzire? Non intendo spoilerare il finale di un libro. Gli interessati dovranno procurarselo.

Tuttavia si può imparare e indurre dal libro di Walter Gatti qualcosa di più di quanto egli esplicitamente dica. Questo perché l’autore della biografia di Chieffo non è semplicemente un giornalista- scrittore; è anche (e soprattutto) un serio e acuto conoscitore del panorama musicale italiano e internazionale. Un critico musicale che può mappare lo sviluppo di uno stile dalla nascita fino al tramonto in buona parte dell’Occidente (anche se quasi ogni sua storia finisce per riguardare la Georgia).

Con il volume su Chieffo, Gatti ci restituisce la cifra distintiva di un uomo che ha voluto innanzitutto scrivere (e cantare: ed era dura quando non lo facevano esibirsi sui suoi brani) per il popolo cui apparteneva. Per la Chiesa, e innanzitutto per quella parte di essa nella quale egli si era imbattuto e da cui era stato conquistato: il movimento di Comunione e Liberazione.

Gatti ci mostra come Chieffo si inserisce – e supera, a suo modo – i tentativi di
ammodernamento della musica liturgica e cristiana più in generale. In un secondo dopoguerra in cui la musica era diventata un fenomeno sociale, trasmesso da juke box e radio e goduto a concerti con modalità, frequenze e sonorità prima impensabili, Chieffo si pone al crocevia di tre percorsi: il cristianesimo; i ritmi giovanili (beat, blues, rock e folk); e il cantautorato.
Trovare modi nuovi di comunicare le medesime verità per generazioni squassate dalle guerre, scosse dal crollo delle istituzioni tradizionali, scopertesi distanti dai ritmi e dalle cadenze dei riti cui erano stati educati ha rappresentato una sfida improba, che Gatti restituisce in tutta la sua complessità e persino le sue contraddizioni. Nel coacervo di tentativi – riusciti e non – che faticavano sia a carburare tra le nuove generazioni sia a
convincere la Chiesa si colloca Claudio Chieffo.

L’aspetto su cui mi permetto di sostare qui è esattamente la posizione che Chieffo rappresenta in questo quadro mobile di interessi e sensibilità. La ricerca di nuovi stili porterà la canzone in chiesa, sostituendosi al canto, ma non sembra veramente restituire alla Chiesa una centralità sociale. I musicisti cristiani che attingono ai nuovi stili musicali per rivolgersi innanzitutto a chi consuma la musica leggera, pop e rock del secondo Novecento entrano in chiesa, ma non fanno rientrare la Chiesa nella società. Le loro canzoni oggi si ascoltano e si cantano nelle iniziative rituali, religiose o carismatiche, ma molto difficilmente saranno ascoltate alla radio, poi con il mangiacassette, col walkman e infine con Spotify. In pratica, perché un brano di chiesa molto fortunato non diventa un bene di fruizione sociale, anche quando non è più strettamente intrecciato a un determinato rito?

La biografia di Chieffo firmata da Walter Gatti suggerisce una chiave di lettura. Dal suo racconto, ci si immagina un Chieffo che effettivamente oggi avrebbe ascoltato la sua musica su Spotify. Non perché l’aveva scritta (e cantata) lui, ma perché egli non vedeva affatto quella separazione tra quello che accadeva dentro una chiesa e quello che ormai stava fuori dalla Chiesa: tra la società e il cristianesimo che egli aveva incontrato.

Stiamo parlando di un uomo che ha vissuto interamente dentro l’esperienza della Chiesa. Non sembra esserci veramente stata una soluzione di continuità tra la sua vicenda di cristiano e quella di uomo–di cantautore di CL e di insegnante di scuola. Con la sua vicenda biografica, Chieffo sembra trasformare in domanda quel che diamo per scontato senza accorgercene. Perché Guccini è buono per le serate impegnate a teatro quanto per una camminata nordica con gli ipod, mentre le canzoni cristiane vanno bene praticamente solo quando si va in chiesa? Non è (o non è soltanto) una questione di sonorità, ritmi e stile–è anche una questione di come concepiamo la nostra vita.

ANDREA PIN

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