Come ogni anno mi sono studiato un po’ come sono andati i Grammy. Non ho un grandissimo interesse per la vittoria di Beyonce o per cosa si sono portati a casa Taylor Swift o Kendrick Lamar, o per i premi a Beatles e Stones: più che altro ci sono alcune categorie che attirano sempre gusto e attenzione e sono quelle che gravitano nel country, nel folk, nella roots music e nel gospel.
E qui (a parte il Grammy a Chris Stapleton e Billy Strings) la vincitrice indubitabile è Sierra Ferrell con Trail fo Flowers, che ha fatto incetta di premi. Il quarto album della cantautrice della Virginia, realizzato in uno dei più importanti studi di Nashville, è un bel compendio di americana e roots music, tra bluegrass e ballate a base di swing e Louisiana sound. Americana Dreaming e Wish You Well sono pezzi di autentica emozione: giù il cappello. Difficile dire se è davvero nata una stella, ma Sierra ha 36 anni e ha davanti tutto il tempo per affinare sempre più una scrittura ed una interpretazione che sono già mature e convincenti. Sentire Rosemary e Lighthouse per confermare.
Termino segnalando le vittorie dell’eterno Taj Mahal e di Ruthie Foster nel blues, di Gillian Welch e David Rawlings nei folk album (ho fatto l’errore di non metterli tra i miei top 2024, ahi ahi…), del tastierista degli Snarky Puppy, Cory Henry tra i roots gospel album (con una versione per solo hammond di Amazing Grace) e dell’immancabile Ce Ce Winans (con More Than This) tra gli album di gospel. C’è da ascoltare parecchio. Come sempre. Per fortuna…
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