
Di STEFANO DE PALMA
I concerti celebrativi dei grandi anniversari, lo sappiamo, sono un’ottima trovata per
riempire i palazzetti perché, accanto ai nuovi fan, si aggiungono, come per obbligo
morale, quelli della prima ora, in memoria dei bei vecchi tempi. Altro trucchetto
che funziona sempre sono le reunion di antiche band, ormai sciolte da secoli, o i
grandi ritorni all’ovile di musicisti o cantanti che, negli anni, han percorso carriere
soliste o con altre band.
Ecco, ora uniamo le due cose e ci troveremo davanti a un concerto architettato
per essere imperdibile. Aggiungiamo all’elenco dei buoni motivi per non
mancare allo show di mercoledì 19 novembre, che gli Helloween non venivano a
Milano da più di tre anni e al Forum, in particolare, da otto -dalla reunion coi vecchi
membri della band, appunto-, in occasione dell’epico Pumpkins United World Tour.
Lì avevano vinto la scommessa, passando dai sold-out all’Alcatraz (capienza: circa
3000 persone), al boato di un palazzetto che può contenere più di 15.000
spettatori.
Certo, l’altro giorno il settore C, il secondo livello, era stato isolato con teli e pannelli
acustici neri, ma il colpo d’occhio c’era: l’Unipol Forum era gremito di
Metallari dalle barbe grigie, e dai capelli più radi di un tempo, quando agli Helloween si
pogava per due ore e nessuno si voltava a brontolare e a lamentarsi con la security.
Perché bisogna riconoscere che oggi, purtroppo, il power-metal fatica ad avere un
ricambio generazionale, soprattutto in Italia, e questo è davvero un peccato, perchè
gli Helloween, la band capostipite del genere, merita di essere ascoltata e,
soprattutto, vista dal vivo.
Innanzitutto stiamo parlando di musicisti fenomenali e di voci capaci raggiungere note acutissime con una pulizia e una potenza che esalta e coinvolge: il power-metal, infatti, prevede che i brani
abbiano spesso ritornelli cantabili, quasi pop, che esplodono dopo strofe più
aggressive, su riff rapidi, duri, intervallate da grandi assoli, sfoggio di bravura e piccoli capolavori di armonia e arte della composizione. C’è infatti tanta musica classica nel power-metal e questo si vede soprattutto nei brani lunghi, come Keeper of the seven keys o Halloween -la loro canzone-manifesto che ha infiammato il Forum-, concepiti come piccole
sinfonie rock. Non sorprende che il “folletto” Kai Hansen, durante un suo assolo,
abbia gasato la folla usando come riff strappa-applausi In the hall of the mountain
king di Edvard Grieg.
Musicisti colti e capaci, quindi, ma c’è di più: gli Helloween sono senza dubbio la
band metal più simpatica della storia del genere. Sorridenti, coinvolgenti, con la
battuta sempre pronta: rimasti soli sul palco, ad esempio, Michael Kiske e Andy
Derris (il cantante dei primi album, dal 1987 al ‘93, e quello che poi l’ha rimpiazzato)
hanno iniziato a strimpellare una chitarra acustica, suonando le due ballate più
celebri della band, In the middle of a hartbeat e A tale that wasn’t right, sostenendo che dal vivo si cantano le ballads solo per permettere agli “heavy smokers” di finire
le loro sigarette a metà concerto.
La terza ottima ragione per vivere oggi un concerto dei “Pumpkins United” è
sicuramente la scenografia digitale: uno spettacolo nello spettacolo.
Nei maxischermi venivano proiettate ambientazioni in 3d che davano l’illusione di trovarsi, anche grazie a giochi di luce che ne assecondavano l’atmosfera, in dimensioni e contesti sempre nuovi e diversi: una metropoli piovosa, in bianco e nero (This is Tokyo), lo spazio (Universe (gravity for hearts)), un’enorme sala giochi (Twighlight of the gods) o i resti in fiamme di un grande maniero (King for a 1000 years, uno dei momenti più alti della serata, a proposito di brani lunghi e complessi). Inoltre, sempre sul grande maxischermo, un personaggio incappucciato, col cielo stellato al posto del volto (caro all’iconografia degli Helloween) faceva da
voce narrante e da collegamento fra momenti diversi dello show, in cui la scaletta
prevedeva brani che coprivano un quarantennio, scritti da mani diverse, in diversi
periodi.
Dopo un iniziale March of time, infatti, è stata proposta una setlist in cui erano
presenti canzoni tratte da Walls of Jericho, il primo album della band, cantate dal
chitarrista Kai Hansen (co-fondatore e prima voce degli Helloween ed ex Gamma
Ray), durante le quali mi sono ritrovato catapultato oltre le transenne: ebbene sì, ero
uno dei facinorosi là davanti, ma come si può non scatenarsi al suono di brani
adrenalinici come Ride the sky o Heavy metal is the law!?
Molto spazio è stato ovviamente dato alle canzoni del periodo Kiske, soprattutto
nella seconda parte del concerto, essendo i brani più famosi della band: I want out,
Eagle fly free, Dr. Stein… Da ultimo, del lunghissimo periodo in cui alla voce degli
Helloween vi era il carismatico Andy Derris, che resta anche oggi il vero frontman
della band, nonostante gli innesti di grande spessore al suo fianco e nel suo stesso
ruolo, segnalo la già citata King for a 1000 years, l’immancabile Power e Hell was made in Heaven, scritta dal bassista Markus Großkopf. Quest’ultimo,
insieme al chitarrista Michael Weikath, è l’unico a non aver mai lasciato la band, dal
primo disco, fino all’ultimo album: Giants & monsters. Da questo, ben quattro i brani
proposti e, devo ammetterlo, mi hanno convinto: al primo ascolto del disco non mi
parevano un granchè, ma invece han funzionato. Bisognava solo lasciar loro un
po’ di tempo per farsi apprezzare e, soprattutto, ascoltarli dal vivo.
Un pensiero è stato dedicato anche ai membri della band che non ci sono più, come
Ingo Schwichtenberg, il suo primo batterista, che Daniel Loeble ha però degnamente
sostituito (e il suo lungo assolo l’ha dimostrato).
Concludo con le parole di Michael Kiske, durante l’introduzione al brano Twilight of
the gods, che secondo me riassumono tutto lo spirito degli Helloween: “Viviamo in
un mondo in cui tutto è fatto dall’AI. Ascolteremo canzoni realizzate dall’intelligenza
artificiale… ma me non interessa quello che lei ha da dirmi. L’arte deve essere
espressione di umanità: la vera espressione di un cuore umano (“true expression of
a human heart”)”.

