Sarà capitato sicuramente anche a voi di sentire una canzone alla radio, sconosciuta ma che vi ricorda qualcosa: il ritmo, la melodia, gli accordi di qualche altra canzone del passato. Non esiste ancora uno strumento alla Google Search che vi possa aiutare e quindi iniziate a canticchiarla, a rovistare nella memoria, ad ascoltare vari pezzi cercando di avvicinarvi il più possibile alla soluzione. E così è successo: per alcuni giorni non sono riuscito a togliermi dalla testa quella melodia fino a quando l’immagine di una copertina di LP mi è apparsa chiara nella testa, ancora senza un titolo ed una posizione nella mia raccolta di dischi; qualche tentativo e ci sono arrivato: si trattava di Home Is In My Head (1971) di Jackie Lomax.
I have drunk Virginia Water
I have dug my own Gravesend
Set my foot ashore in Newport
Travelled far beyond my Land’s End
And my home, home, home is in my head
I have dived into a Blackpool
With a Maidstone round my neck
I just drifted into Southsea
With no Hull beneath my decks
And my home, home, home is in my head
Well, I lost a wheel in Barrow
Tried to cross the No-one-Cambridge
When my Liverpool grew shallow
I had to dig more Wells in Tunbridge
And my home, home, home is in my head
Veramente una bella canzone, un ritmo indimenticabile di chitarre ritmica ed elettrica che accompagnano la fantastica voce di Lomax, autore ed interprete di grande spessore; in alcune espressioni mi ricorda Tim Buckley, nella sua capacità di usare gli accordi blues e la voce melanconica per creare canzoni strappalacrime; ma anche John Mayall nel modo di suonare ed alcuni pezzi dei Canned Heat, con la voce scatolata. Inizio con rullante a cui si sovrappone subito il refrain elettrico che accompagna tutto il brano, campanelle per chiudere le strofe, ritmo blues incalzante: canzone da quasi 5 minuti, costruzione perfetta. Jackie è ancora attivo e lo ritroviamo nel recente album di The Undertakers (2008), lo stesso gruppo con il quale aveva iniziato a suonare negli anni 60, al fianco del fenomenale Brian Saxophone Jones. Proprio in quegli anni dopo alcune esperienze inglesi nel circuito beatlesiano del The Cavern, il gruppo decide di andare oltreoceano ma la fortuna non arriverà mai e costringerà il nostro Lomax a molti cambi di band, di etichette e un andirivieni dagli USA alla vecchia Inghilterra. Rimane però sempre nel circuito come ottimo session man al servizio di moltissime band. Home Is In My Head, così come l’omonimo disco che la contiene, rimane però unica, una perla all’interno di una carriera non segnata da grandi successi o alte posizioni nelle classifiche, forse presaga di una vita girovaga e senza patria dove l’unica isola felice (home) sta proprio in se stessi (my head).
Davide Palummo, novembre 2009