Un ingresso di chitarra acustica. Un intro perfetto: sembra musica Made in America. E poi la voce, il canto: “Le case le pietre/ e il carbone dipingeva di nero il mondo/ Il sole nasceva/ ma io non lo vedevo mai laggiù nel buioâ€. Non è un film. E non è nemmeno una canzone d’oltreoceano o della Francia del dopoguerra, è roba nostra, roba italiana. “Nessuno parlava/ solo il rumore di una pala che scava che scavaâ€. Chitarra, cori, anche qualcosina fuori luogo, un arrangiamento ancora un po’ troppo da Italia anni Sessanta, ma non importa, perché questo è uno dei momenti in cui la canzonetta diventa nobile e lascia un segno.
Chissà cosa avevano in mente i liguri New Trolls mentre scrivevano Una Miniera nel 1969, quarant’anni fa. Di certo dietro l’ispirazione di questa canzone ci stanno fatti veri: tanti e tanti italiani andavano a lavorare in miniera tra la Francia e il Belgio. Nella canzone c’è tutto, la lontananza, le radici, l’amore lontano, che viene a galla, forte, tenero e clamorosamente musicale nel ritornello interpretato da un cantante strepitoso come Nico Di Palo: “Tu, quando tornavo eri felice/ Di rivedere le mie mani/ Nere di fumo/ Bianche d’amoreâ€. È una storia, quella raccontata dai New Trolls. Storia di vita, di lavoro, d’amore. E nel suo svolgersi, sbatte contro la tragedia, perché la voce narrante svela che in “un’alba più nera mentre il paese si risvegliaâ€, succede che la miniera inghiotte chi è nascosto nel suo ventre, lasciando “Paura, terrore sul viso caro di chi spera/ Questa sera come tante in un ritornoâ€.
C’è tanta cronaca dietro questa canzone. Nel 1956 a Marcinelle (Belgio), la terra inghiottì 262 minatori della locale miniera di carbone, tra cui molti italiani. Su quel fatto (che in quegli anni lasciò strascichi di cronaca e di dolore popolare) la giovane band ligure costruisce il suo primo successo, incluso in un disco – “New Trolls” – che dava già grandi scossoni rock (chi si ricorda canzoni come Davanti agli occhi miei e Sensazioni capisce).
La canzone italiana dimostra non solo di “essere prontaâ€, ma di essere già entrata nell’età adulta, di potersi confrontare con le coeve di mezzo mondo. Certo, magari si porta dietro qualche arrangiamento melodico e italico di troppo, ma ci si può fare il callo, se si pensa al profluvio di violini e di orchestrazioni inutili e fasulle che imperversano in certi pezzi dei Beatles. E inoltre val la pena ricordare che proprio i New Trolls da qui a poco daranno via a uno dei più pretenziosi, folli e suggestivi dischi dell’intera produzione del rock italiano, quel Concerto grosso in cui barocchismo, citazioni shakespeariane (“to die, to sleep, maybe to dream….”) e sonorità hendrixiane (i due bandleader Di Palo e De Scalzi erano due chitarristi notevoli; il primo dopo un grave incidente ha rallentato l’attività musicale; il secondo – polistrumentista – è ancora in attività ; i due – nella foto – spesso “ricostituiscono” la grande band) costringeranno pure i critici inglesi a definirlo: “a fantastic example of symphonic rock experimentation”.
Un capolavoro melodico. Una trama e una costruzione cinematografica e non importa se alla fine si ritorna al via (anche dopo la tragedia il ritornello ricorda che “Tu quando tornavo/ eri felice…â€), quel che conta è che tutto regge perfettamente, anche all’usura del tempo, e non sembra una canzone uscita dal lontanissimo 1969.
Se l’avessero incisa gli Eagles oggi mezzo mondo sarebbe qui a cantarla, come Desperado e come Hotel California (e anche da quelle parti c’erano miniere…..).
Walter Gatti