“Voi due dovreste suonare assieme più spesso”: mai suggerimento è stato più azzeccato. A darlo fu il grande John Lee Hooker durante le registrazione di Burning Hell, un suo grande classico rivisitato nel 2007 all’interno di un disco che vedeva al suo fianco una serie di noti personaggi del blues. I destinatari del suggerimento erano Charlie Musselwhite e Ben Harper annoverati tra i Best of Friends, nome del succitato disco di Hooker al quale collaborarono Clapton, Cooder, Booker T. Jones, la Riatt, Cray, Santana e i nostri due.
Charlie Musselwhite e Ben Harper non hanno bisogno di presentazioni perché, nonostante età ed esperienze diverse, si sono guadagnati un posto d’onore nella grande musica; il comune amore per il blues li ha portati non solo alla succitata collaborazione con Hooker ma a suonare spesso assieme on the road, esperienza che poi è sfociata nel 2013 nel bellissimo Get Up! ed oggi in questo No Mercy in This Land, altrettanto bello e forse più coinvolgente. Questo è un disco che profuma di California, non solo perché è stato registrato a Santa Monica, ma perché le sonorità sono aperte e solari anche quando raccontano di situazioni difficili e tristi. In una decina di canzoni (che diventano 13 nella versione deluxe, contenente tre registrazioni dal vivo al Machine Shop), dove lo spirito di John Lee Hooker è presente e quasi si sente il tempo battuto dal suo piede, emergono situazioni quotidiane, tristi, drammatiche, dure, tipiche delle canzoni blues. La solitudine e la disperazione in When I go che apre il disco ed anche nella successiva Bad Habits, caratterizzata da ritmo sincopato ed armonica lancinante; la speranza di amare e credere in Love and Trust; la debolezza nei confronti del vizio del bere in The Bottle Wins again, con ritmo chicaghiano ed autobiografico rispetto ai noti problemi di alcol di Musselwhite; l’attaccamento ad un vano obiettivo raggiunto in Found The One, cantato quasi come un canto da campi di cotone; la consapevolezza dei limiti dell’amore in When Love is not Enough dalle tonalità pacate e soul; l’ineluttabilità del destino in Trust you to Dig my Grave; la triste storia familiare, probabilmente quella di Musselwhite abbandonato dal padre ed orfano di madre nella canzone che fornisce il titolo al disco e che in meno di 4 minuti, chitarra, armonica e le voci di entrambi, dà una lezione di grande blues con la sentenza Non c’è Pietà su questa Terra!.
Continua con il cinismo di certi personaggi, probabilmente politici in Movin’ On; nuovamente la consapevolezza di una vita difficile nella pacata ballata Nothing at All che chiude magnificamente il disco. Veramente un bel sentire per tutti quelli che amano il blues; disco suonato alla grande da due musicisti che confermano il loro talento e la loro passione per la buona musica.
Davide Palummo, Aprile 2018