Once è il film che non ti aspetti. Effettivamente fa di tutto per stupirti, ancor prima di iniziare: nessun attore professionista, due camere semi-professionali, nessun permesso per girare le scene in pubblico nel centro di Dublino (per catturarla così com’è, semplice, naturale), neanche tre settimane di riprese, dialoghi spesso improvvisati, zero pubblicità .
Budget irrisorio, dunque. Ma decisamente c’è dietro un “investimento” artistico di grande spessore. Una storia semplice ma straordinaria, innanzitutto, e poi le canzoni: una colonna sonora appositamente scritta da colui che poi è diventato l’attore protagonista: Glen Hansard (voce attuale dei “The Frames”, gruppo attivissimo in Irlanda). Bè pure il coraggioso regista John Carney aveva militato presso la stessa band come bassista… Un film nato da un giro di amici, insomma, un coinvolgimento artistico e personale in pieno stile irish, dove spesso i progetti nascono mescolando gli attori della vivissima scena musicale (cfr. Grillo Cantante n.4). Non svelo i particolari, ma la trama è nota: si tratta dell’incontro tra un “busker” (cantautore di strada) di Dublino e una ragazza madre della Repubblica Ceca che per vivere vende fiori per strada. Due storie sentimentali molto dure alle spalle e una grande affinità d’animo.
Finale scontato? Per nulla, ma proprio per nulla. Lui infatti prova a “concludere” quasi subito, ma dopo qualche tentativo, sempre più affascinato dalla giovane, cede di fronte al no della ragazza, perchè “non avrebbe senso”, non avrebbe sèguito. Ed ha ragione. Ma la cosa straordinaria che mostra questo film è come questo distacco, invece che chiudere, possa aprire ancor di più la loro stima, la loro amicizia, il loro – perchè no – amore. E rende il loro rapporto bellissimo e gratuito. Ciascuno guarda e ammira l’altro per quello che è, per la strada che deve percorrere, anche lontano da se.
E sono capaci di giocare come bambini, col frisbee sulla spiaggia, e di farsi regali inimmaginabili. Si aiutano realmente a raggiungere ciascuno il proprio destino, accompagnandosi per quel pezzo di strada trattandolo come fosse eterno. Il film apre dunque uno spiraglio su un modo di intendere l’amore del tutto controcorrente, e traspare che l’affermazione di questo modo più bello e vero di intendere il rapporto è guidato e ispirato dalla bellezza dell’arte che i due condividono. La musica li porta a volare alto, evitando un puro sentimentalismo in favore di un concreto volersi bene. E’ questo meno dell’amore fisico? No, è molto di più.
Ma c’è un’altra idea straordinaria che è ben comunicata in questo film: l’urgenza, l’esigenza comunicativa, il vivere la musica nel presente, l’arte come impellente desiderio di condividere il proprio grido o la propria domanda di significato, di un Oltre in cui riposare e in cui abbandonarsi.
Una canzone vive se parla del presente di chi la canta e ne esprime le domande e le esigenze vere ed attuali, altrimenti è solo esibizione, intrattenimento (nelle migliori ipotesi) oppure – per citare William Congdon – “solo rumore”. Ed ecco l’artista, il cantante, un uomo che parla – o urla – da cuore a cuore, e magari te lo sconvolge.
(Stefano Rizza)