Quanto Basta di Moondance

Quando gli amici della Libreria Quanto Basta di Grosseto mi hanno invitato a partecipare all’iniziativa Racconta un Vinile ho subito aderito: si tratta di incontri del mercoledì sera presso gli accoglienti spazi della libreria, che ospitano anche una viniloteca, per parlare di musica con il pretesto di presentare un disco ed ascoltarlo tutti assieme. Mi è subito piaciuta l’idea perché da sempre sono un appassionato di musica ma anche, come dimostrano queste pagine sulle quali scrivo ormai da molti anni, propenso alla condivisione della cultura musicale; nessuna pretesa di “convertire” qualcuno ma semmai voglia di raccontare il mio particolare punto di vista, confrontarmi con altri, condividere esperienze e modelli di lettura dei fenomeni musicali così importanti per la nostra cultura.
Come dicevo ho subito aderito all’invito e proposto una serata su Van Morrison ma non è stato così semplice scegliere il disco. Sir George Ivan Morrison – detto Van, infatti, ha all’attivo oltre 50 dischi senza contare quelli con i Them dei primissimi anni ‘60 e le raccolte: il primo è del 1967 quando aveva solo 22 anni (Blowin’ Your Mind!) mentre l’ultimo è di questo 2025 quando di anni ne ha compiuti ben 80 (Remembering Now) e ritengo siano tutti ottimi lavori tra i quali una decina di assoluti capolavori. Per scegliere ho messo tutti i vinili per terra ed ho cercato di ripercorrere, con l’aiuto visivo delle copertine, la storia del musicista, attraversando i vari periodi, stili, collaborazioni e, dopo qualche ascolto, ho deciso di presentare sicuramente uno dei primi lavori. Bisogna rammentare che nei primissimi anni della sua carriera Morrison ha scritto pezzi memorabili come Gloria, ancora con i Them (ed in Irlanda) o Brown-eyed Girl e Madame George da solista (e già in America) contenuti nei suoi primi seminali e bellissimi due dischi (Blowin’ Your Mind! e Astral Weeks). Ma il terzo è veramente un capolavoro che ascolto ormai da oltre quarant’anni e non mi stanca mai: si tratta di Moondance del 1970 ed è questo il disco che ho scelto per la serata Racconta un Vinile del 15 ottobre.

La serata è stata molto piacevole e con una buona partecipazione di curiosi ed appassionati di musica: molti si sono dimostrati grandi estimatori di Van Morrison, alcuni spero lo abbiano riscoperto sotto una nuova luce, altri probabilmente lo hanno conosciuto la sera stessa. È inusuale ascoltare un disco assieme ad altri, abituati come siamo all’ascolto domestico e spesso in cuffia, in ogni modo in solitario: la serata spero abbia fatto riscoprire a tutti il piacere di condividere l’ascolto, parlare di musica, esprimere le proprie idee… insomma fare una esperienza collettiva di ascolto! In ogni caso ho avuto l’impressione che tutti abbiano gradito il mio racconto del personaggio, del disco in questione e del momento storico nel quale è stato pubblicato.

Credo sia fondamentale contestualizzare il disco sia da un punto di vista storico che personale. Il 1970 è un anno di grande tensione sociale a livello globale; in particolare negli USA ci sono molte proteste soprattutto contro la guerra del Vietnam che si sta concludendo, proteste che culminano con l’uccisione di alcuni studenti che partecipavano ad una manifestazione pacifica a Kent State; nel frattempo continua la conquista dello spazio non senza momenti critici come quello della missione Apollo 13 (famosa la frase “Houston, we’ve had a problem”). Nell’area musicale si conclude l’esperienza dei Beatles con Let it Be, muoiono a pochi giorni di distanza Jimi Hendrix e Janis Joplin, si tiene il Festival dell’Isola di Wight sulla scia di quello di Woodstock che l’anno prima aveva portato all’attenzione di tutto il mondo la grande musica rock nutrita dalla cultura hippie. Vengono pubblicati alcuni masterpiece della musica: solo per citarne alcuni a memoria, sono di quell’anno i primi due dischi dei Black Sabbath (Black Sabbath e Paranoid), Led Zeppelin III dei Led Zeppelin, Morrison Hotel l’ultimo disco dei Doors, Live at Leeds dei Who, Bridge Over Troubled Water di Simon & Garfunkel, Déjà Vu di Crosby, Stills, Nash & Young, il disco omonimo di Elton John, Tea for the Tillerman di Cat Stevens, Atom Heart Mother dei Pink Floyd, The Man Who Sold the World di David Bowie, In Rock dei Deep Purple, Mad Dogs and Englishmen di Joe Cocker senza dimenticare Bitches Brew di Miles Davis che decreta la nascita della jazz fusion; vengono inoltre pubblicati alcuni dei dischi di maggior valore della musica progressive da parte degli Yes (Time and a Word), dei King Crimson (In the Wake of Poseidon) e di molti altri gruppi inglesi.


Per Van Morrison è un anno piuttosto complesso: si è trasferito da pochi anni in America, prima a New York, poi a Boston da dove successivamente andrà a San Francisco; ha appena perso l’amico discografico Bert Berns che lo aveva seguito fin dall’inizio della sua carriera, inizia ad avere problemi finanziari e di alcolismo, continua ad essere ipercritico del suo lavoro. Ma dopo Astral Weeks appare chiaro il suo cammino fatto di musica sofisticata, un mix di sonorità e testi poetici irlandesi, molto blues e soul con qualche puntata nel folk ma sempre con sonorità jazz ed una voce modulata in mille modi sia per cantare che per mugolare ritornelli o ripetizioni cantilenanti. La cultura protestante in cui è cresciuto a Belfast, l’ascolto di Ray Charles, Leadbelly e Solomon Burke e moltissima musica jazz, blues e folk assieme alla capacità di suonare molti strumenti musicali (chitarra, armonica, pianoforte, sassofono, batteria) fanno da background alla nascita di un mito della musica.


Moondance sorpassa Astral Weeks non tanto in qualità musicale ma per la grande positività che esprime; Morrison trasferitosi in California è finalmente più sereno e riesce a trasmettere pace ed armonia nelle canzoni di Moondance, le 5 del lato A praticamente una più bella dell’altra e le altre 5 del lato B parimenti di grande impatto.
Per capire la grandezza di questo lavoro lo abbiamo ascoltato tutto ma ho concentrato l’attenzione su una manciata di canzoni del lato A del disco (And It stoned Me, Moondance, Caravan e Into the Mystic) che a mio personalissimo avviso lo rappresentano benissimo.

And It stoned Me è la prima traccia del disco dove Morrison ricorda i semplici sentimenti di quando era ragazzo, sopraffatto dalla bellezza della natura allo stesso modo di come lo era stato dalla musica di Jelly Roll Morton: la semplice esperienza di andare a pesca, di rimanere sotto la pioggia con un amico, cantare a squarciagola e poi ripararsi in una sperduta casa di pietra dove un uomo gentile dalla pelle rovinata dalle intemperie gli offre da bere acqua di sorgente. Il luogo e l’esperienza sono reali, come ha avuto modo di raccontare lo stesso Morrison: aveva circa 12 anni ed il luogo della pesca era nei dintorni di Belfast, Ballystockart poco distante da Bloomfield dove era nato, e impressa nella sua mente quella sensazione di vivere in un’altra dimensione durante quella spensierata giornata. Bellissimi gli interventi dei fiati così come dell’assolo finale di Platania (chitarra) e il supporto di Labes (pianoforte) entrambi collaboratori di Morrison anche in moltissimi dischi a venire.


Moondance è invece una ritmata ballata con sfumature jazz, supportata ancora dal pianoforte, dal basso di Klingberg e dal tenue flauto di Tilltone. Può essere considerata a tutti gli effetti uno “standard” suonata da Van Morrison in migliaia di concerti ed ancora oggi nella sua playlist, diventata una cover interpretata da moltissimi artisti (nota quella di Michael Bublé). In realtà si tratta di una canzone super romantica con un testo anche banale, una richiesta di ballare al chiaro di luna ed avere una notte d’amore, nulla di più: ma cantata in modo magnifico, addirittura inventando un neologismo (fantabulous = fantastic + fabulous), e suonata in modo strepitoso. Se non fosse chiaro il timbro jazz della canzone, ne faccio subito ascoltare una interpretazioni del 1995 dove Morrison è con l’amico Georgie Fame al Ronnie Scott’s Club di Londra: 7 minuti di puro jazz!! Fantastico vedere i piedi di molti che tengono il ritmo della canzone e le teste dondolanti e che canticchiano questa supernota canzone.


Caravan è un’altra canzone nel tipico stile Van Morrison, che diventerà riconoscibilissimo in molti lavori futuri, ricco di ritornelli frenetici e vocalizzi. Anche questo pezzo viene spesso riproposta nei concerti di Van Morrison ma notissima è la sua presenza in The Last Waltz, il film di Martin Scorsese ed il relativo album, che ha commemorato l’ultimo concerto di The Band nel 1978. Nuovamente testi semplici, romantici che riportano liete esperienze dell’autore legate ad una carovana di zingari, persone semplici che ascoltano la radio, ballano e cantano in un contesto sereno e pieno di colori.

L’ultimo pezzo della facciata A è Into the Mystic, una calma ballata folk contaminata dal jazz, dove Morrison riflette sui valori della vita: sembra impossibile sia stata scritta da un ragazzo di 25 anni. Anche questa canzone è minimalista e completamente sostenuta dalla voce che parte con tonalità bassissime fino ad alzarsi. La chiusura, che sembra rimandare a molto altro che verrà suonato da Morrison in futuro, dice: Come on girl, Too late to stop now.


La serata continua con l’ascolto delle altre canzoni, con interventi di molti, domande, richieste di chiarimenti, racconti di esperienze dei molti concerti di Van Morrison in Italia… tutti molto coinvolti in questa bellissima esperienza di ascolto collettivo.
Si chiude la serata e sono convinto di aver ben scelto il disco da presentare: è vero che nella carriera di Van Morrison ci sono moltissimi lavori interessanti, musica sofisticata e mistica, legami con la musica irlandese, tentativi di avvicinamento al country, allo skiffle, alla musica degli anni 50, al blues ma Moondance continua a brillare come un grande capolavoro ad oltre 50 anni di distanza e tutti i presenti sembrano essere d’accordo con me.
Ottobre 2025, Davide Palummo

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