Spero proprio che in occasione del trentesimo anniversario della morte di Bob Marley, che ricorrerà il prossimo 11 maggio, si ritorni a parlare di questo personaggio, meraviglioso sia dal punto di vista umano che musicale. Nonostante la sua prematura scomparsa a soli 36 anni, Marley è diventato, già in vita ma con moltiplicazione dell’effetto dopo la morte, un’icona della lotta dei deboli contro le oppressioni. Bob ha dimostrato il suo impegno politico e religioso nella musica, impegno confluito in una visione positiva dell’esistenza che gli ha permesso l’ascesa dal ghetto giamaicano al successo planetario, ha saputo rompere gli schemi della musica pop/rock sfruttando un modello semplice ed immediato, fusione di ska e musica tradizionale africana, e portando all’attenzione del mondo il reggae divenuto poi un punto di riferimento per moltissimi gruppi musicali a seguire.
Nonostante Marley abbia guadagnato l’immagine del profeta, del portatore della buona novella per i diseredati, del messaggero dei sani principi in opposizione a quelli del MusicBiz imperanti già negli anni 70, spesso viene ricordato solo per lo stereotipato abbinamento droga/Giamaica o per la capigliatura rasta. Si dimentica cosa ha fatto per il suo popolo, per la musica, per il reggae di cui diceva “Il reggae diventerà una forma di lotta, se non è già accaduto. È la musica del Terzo Mondo. Non devi cercare di capirla in un solo giorno ma prenderla un po’ per volta e lasciare che cresca dentro di te”.
Bob Marley non può essere oggettivamente considerato un grande chitarrista o cantante, ma sicuramente un personaggio unico ed eccezionale che ha saputo usare la musica e la sua rettitudine per diffondere un grande messaggio con cui esortava: “Emancipatevi dalla schiavitù mentale. Solo noi stessi possiamo liberare la nostra mente”. Non aveva nemmeno una grande cultura, vista la problematica adolescenza, ma la sua fede e la sua grande passione gli permisero di trasformare ciò in un punto di forza; diceva infatti: “Non ho educazioni, ho solo ispirazioni. Se fossi stato educato sarei uno schiavo anch’io”.
Qualche timido tentativo di riportare all’attenzione del grande pubblico il personaggio Bob Marley, per quello che è stato durante la vita e quello che ha rappresentato e tuttora rappresenta nel panorama musicale, è testimoniato dalla pubblicazione ufficiale della registrazione del suo ultimo concerto a Pittsbourgh e da una mostra fotografica appena inaugurata a Londra.
Nonostante sapesse della malattia e dei pochi mesi di vita che gli rimanevano, Marley non ha rinunciato ad esibirsi in concerto per tutto il 1980; in circa 50 date ha girato l’Europa, è approdato nella sua amata Africa, ha fatto molte date negli USA; la testimonianza del suo ultimo concerto è contenuta nel doppio CD edito all’inizio di quest’anno, Live Forever, registrazione del concerto allo Stanley Theatre di Pittsburgh del 23 settembre 1980, dal quale echeggia ancora l’invito: “alzati, ribellati, ribellati per i tuoi diritti”. La registrazione non raggiunge i livelli di altre relative a precedenti concerti (come Live! testimone del concerto a Londra del 1975 e Babylon by Bus di quello di Parigi del 1978) ma ha una carica emotiva sorprendente ed il successo di vendita è un primo importante segnale di ritorno di attenzione per Bob Marley.
Proprio in questi giorni, invece, è stata inaugurata una mostra fotografica alla Proud Gallery di Camden, Londra (www.proud.co.uk), basata su molte foto di Kim Gottlieb estratte dal volume Bob Marley and The Golden Age of Reggae. Bellissime ed inedite immagini di Bob Marley ed altri personaggi della musica reggae riprese dalla Gottlieb che, per la sua sensibilità e capacità di vivere con i personaggi ritratti, si è definita l’anti-paparazzo, essendosi sempre concentrata nel voler cogliere l’umanità dei suoi personaggi e non nel rubarne futili istantanee.
Speriamo che questi siano solo due di molti altri eventi tesi a far conoscere al grande pubblico ed alle nuove generazioni Bob Marley che merita tutta l’attenzione di chi ama la musica, la vita e la libertà .
Davide Palummo, Aprile 2011
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