RIVER: NOSTALGICA BELLEZZA, DA JONI A MARIA PIA

joni mitchell
maria pia de vito
Quando Joni Mitchell pubblica River è il 1971. La vocalist canadese sta iniziando ad avere un successo inatteso e il disco in cui questa canzone è inserita, Blue (è il disco di A case of you e di Last time I saw Richard, con Stephen Stills e James Taylor alle chitarre), è destinato a renderne internazionale la fama di songrwriter. Ma mentre la fama avanza e i soldi piovono sul suo capello biondo (“Sto facendo un mucchio di soldi, ma il mio amore se n’è andato via“….), Joni non trova pace nella San Francisco natalizia in cui nasce questa canzone stupenda. Il successo non può restituirle un amore perduto, quello che fa desiderare alla cantante di “avere un fiume su cui scappare via”, su cui “insegnare ai miei piedi a volare” (forse ricordando i fiumi ghiacciati del suo Canada).

Canzone di intensità, brividi e nostalgia, introdotta da una Jingle bells al pianoforte, River è un brano perfettamente struggente non a caso saccheggiato da decine di interpreti, da Linda Ronstadt a Dianne Reeves, da James Taylor a Beth Orton, da Tori Amos a Shawn Colvin, da Elisa e Terra Naomi in coppia (tanto per dirne solo alcuni da me conosciuti), in un apprezzamento trasversale che evidentemente coinvolge jazz e rock, folk e country. Recentemente, però, ho avuto occasione (grazie all’antica amicizia di Giovanna: thanks!) di risentire River in una versione jazzata firmata da un quartetto tutto italiano, che mi ha dato antiche emozioni. Si tratta dell’interpretazione che ne ha fornito nel 2005 Maria Pia De Vito nell’album So right, una poliedrica raccolta realizzata dalla cantante napoletana insieme a Danilo Rea (al pianoforte), Enzo Pietropaoli (al contrabbasso) e Aldo Romano alla batteria.

Il cd alterna composizioni firmate dall’ensemble tutto italiano (autentici mostri dello strumento e dell’alfabeto jazz) ad interpretazioni di classici della Mitchell (di fianco a versioni quasi fedeli, come God must be a boogie man e Harlem in Havana, svettano riletture eccitanti, come quella di Woodstock, lontana mille miglia nei ritmi e nel cantato dalle già note incisioni sia di Joni che di CSN&Y). Ma il climax emotivo è nella capacità della De Vito di sfidarsi in una versione personale di River, che diviene un palcoscenico per una gestione vocale densa e specialissima di questo capolavoro della musicista canadese. Cantante jazz dalle tradizioni liriche, la De Vito s’arrampica con i suoi compagni di sound, in un mondo di purezza artistica e ci spinge, ascoltatori disponibili ancora a farci percuotere, a coinvolgerci di fronte ad una registrazione impeccabile, dove la nostalgia si fa quasi toccare e l’assenza d’amore che a volte rende deserto il Natale di molti, lascia un accidia gelata e rischiosa.

E’ solo una canzone, ma Joni e la vocalist napoletana raccontano di un desiderio di calore e affetto totali, come se ci si trovasse dentro il libro dell’anima di un’amica che non trova pace. E River, scritta esattamente quarantanni fa (nelle settimane precedenti il Natale del 1970), conferma che quegli anni hanno rappresentato un misterioso conglomerato di gioielli artistici che tutti – artisti ed ascoltatori, in mille modi e in mille idiomi – possono in qualsiasi momento riscoprire.

Walter Gatti

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