SIAMO FIGLI DI DYLAN

di ANDREA PIN


Difficile scegliere un titolo migliore. A Complete Unknown – Un perfetto sconosciuto – cattura quel che il film vuole dire di Dylan.

Sì, certo, è una biografia degli esordi, ma sono proprio gli esordi che lo avrebbero consacrato facendone l’emblema di una generazione, dei suoi ideali e del suo rifiuto del conformismo.

Nel film il protagonista stesso si dichiara esausto di tutte le domande che gli pongono sull’origine della sua poetica, così esistenziale, intrisa di politica e insieme lirica. E il film, come il protagonista, non concede nulla. Non è dato sapere a quale pozzo la sua immaginazione si abbeveri; né lui è disposto a rivelarlo alle persone che più gli saranno (o crederanno di essergli) intime in quel periodo. Il protagonista attraversa la trama del film quasi sospeso, con una leggerezza ineffabile che insieme lo rende capace di innovare e incapace di legarsi a qualunque cosa, si tratti di una donna, di un genere musicale, o di un mentore.

Il film riesce benissimo, anche perché’ si conclude con una domanda implicita: cosa rende un personaggio così chiuso in sé stesso tanto simbolico – specie se si tratta di un’epoca che ha celebrato la libertà e l‘espressione di sé?

V‘è chi ha scritto che, crollati gli ideali, sono rimaste le icone della cultura pop quelle con cui identificarsi. Probabilmente è vero. Ma si può spingere lo sguardo appena oltre?

Si tratta di protagonisti di un mondo nuovo: di una rottura con il passato. Non solo quanto a contenuti. In tempi e modi diversi, rivolgendosi a interlocutori solo parzialmente sovrapponibili, Johnny Cash, Bob Dylan, Elvis Presley, Elton John, Freddy Mercury e (perché no?) Robbie Williams – solo per citare i biopic più famosi – non avevano solo contenuti e linguaggi nuovi. Vivevano anche in una dimensione nuova, sia tecnica sia mentale. Tramite l’etere raggiungevano le radio, le case, le macchine, i jukebox, e poi gli Spotify o le MTV a seconda dell’epoca, bypassando le istituzioni tradizionali. Certo, ne avrebbero loro stessi create di nuove, rivoluzionando l’industria musicale. Ma non passavano per nessuna struttura consolidata od obbligatoria. La loro musica non attraversava le generazioni né si propagava tramite le istituzioni esistenti, nelle quali fino ad allora ciascuno aveva ricevuto la propria formazione e persino i gusti: la famiglia, la religione, la scuola. Le loro canzoni non erano trasmesse dai genitori, studiate a scuola o cantate in chiesa. Dylan bypassava questi canali di trasmissione: raggiungeva ciascuno personalmente: era una mia scoperta, e assolutamente mia, anche perché raggiungeva direttamente me, personalmente.

Inoltre era una scoperta capace di entusiasmare e catturare l’attenzione su molti piani. Per quanto elaborata, quella musica era estremamente diretta: facile da ascoltare, emotivamente coinvolgente. Inoltre, sebbene raggiungesse ciascuno singolarmente, essa era capace di generare una emozione collettiva: attorno a queste figure era facile che si radunasse un grande gruppo di ascoltatori che si scoprivano uniti insieme. Un libro può far pensare; un’aria di un’opera si può apprezzare; un quadro può commuovere. Ma tutto questo accade soltanto o principalmente al singolo. Invece quei musicisti raccoglievano orde di entusiasti: generavano fenomeni di gruppo tramite concerti, talvolta oceanici, in cui ciascuno ascoltava parole che parlavano di liberazione, personale e sociale. In sostanza, essi hanno dato a intere generazioni la sensazione di essere un popolo—qualcosa di unitario e diverso, persino contrapposto, a chi le aveva precedute. Hanno lasciato il segno per la loro capacità straordinaria di trascinare insieme una parte della società, trasformandone la cultura e persino la stessa percezione della realtà: hanno consentito di recidere il cordone ombelicale che teneva unite le generazioni grazie ai contenuti che le loro canzoni trasmettevano e al modo in cui li comunicavano. Diventare adulti, da allora in poi, ha avuto un altro significato.


Devo ammetterlo: sono anch’io un po’ figlio di Dylan, questo sconosciuto.

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