«Sono l’ultimo dei tuoi pellegrini qui/ Sono quello che ha più bisogno di speranza». È andato al santuario della Virgen de Guadalupe, il californiano Tom Russel. E l’ha raccontato nella bellezza del suo ultimo disco, “Blood and Candle Smoke”.
Californiano, classe ’53, Tom ha vissuto una vita ricca di viaggi, incontri, delusioni, cambiamenti. Amico di Charles Bukovsky, ha vissuto in Africa (Nigeria), ha fatto il tassista a Vancouver e l’insegnante a Los Angeles, prima di mollare la vista sul Pacifico per rifugiarsi a El Paso, città ricca di storia e di tragedie, giusto di fronte al confine messicano. Tom ha scritto centinaia di canzoni, cantate da Johnny Cash e dai Grateful Dead, da Dave Alvin e Joe Ely.Voce profonda, spesso paragonata a quella di Cohen, Russel ha interpretato negli ultimi trent’anni una delle più ricche espressioni della tradizione americana, con una produzione stupendamente venata di country e di tex-mex, lasciando che il folk bianco del Sud diventasse capace di commuovere con storie vere, autentiche, di povertà , di amori, di morti, di violenze. Nel suo ultimo “Blood and candle smoke“, il fumo di candele e il sangue del titolo suggeriscono quel mondo che è di Flannery O’Connor, Faulkner ed Erskine Caldwell.
Le canzoni di Tom crescono tra i cactus del Texas e il tabacco messicano, e il suo ultimo cd ha proprio il disegno rurale di un crocifisso, di cowboy e rancheros, di motivi ornamentali pellerosse, di lumini devozionali.
Le dodici canzoni di questo disco alternano suoni riflessivi, chitarre solari e pianoforti limpidi, tutte belle e convincenti, da Santa Ana Wind a Crosses of San Carlo, da Finding you ad American Rivers. Ma in Guadalupe qualcosa di commovente supera le pur notevoli consorelle musicali. È una ballata minimale, dominata dalla voce (siamo nella tradizione di Cash, Waylon Jennings, Ely….) di Tom che racconta il suo pellegrinaggio alla Vergine di Guadalupe, il suo ritrovarsi, il suo ripensarsi nella forza e nel solco di chi ha già sofferto e sperato.
«Quando le montagne risplendono come il vino della missione/ E diventano grigie come certi purosangue spagnoli/ Diecimila occhi si fermeranno a pregare/ Si volteranno, andando verso casa/ Lei mi protende le sue braccia stanotte/ Signore, la mia povertà è vera/ La mia preghiera è che piovano rose su di me/ Da Guadalupe sulla sua collina/ Ma chi sono io per dubitare di questi misteri/ Tirati su in secoli di sangue e fumo di candele». Guadalupe, al di là della frontiera messicana. Di qua, negli States di Obama e di Bill Gates, abita Tom, nella El Paso dei film western, non lontano dai cavalli selvaggi di Cormac McCarthy.
Di là c’è Lei, la virgen morenita, che apparve al campesino Juan Diego. A lei la chitarra semplice di Russel rivolge la sua armonia texana in cerca di compassione: «Sono l’ultimo dei tuoi pellegrini qui/ Sono quello che ha più bisogno di speranza/ Lei è apparsa a Juan Diego/ ha impresso la sua immagine sul suo mantello/ 500 anni di dolore/ Non hanno distrutto la loro fede profonda/ Ma eccomi qua, il tuo miscredente straccione».
Che storia, questa canzone. Tom è realmente andato a Guadalupe, in questa canzone «Questo vecchio, dubbioso Tommaso che affoga nelle lacrime». È un ritorno a casa, quello di mister Russel, che spiega e canta di questo ritrovare su di se il senso di cinque secoli di fede: «Ma chi sono io per dubitare di questi misteri».
Che emozione, le canzoni, quando hanno una storia da raccontare….
Walter Gatti