Tom Waits, Closing Time

Recentemente ho letto un’intervista a Roberto Benigni (rif. Ernesto Assante su Robinson di La Repubblica, 15/10/2023) nella quale racconta la sua amicizia con Tom Waits. A dire il vero i due personaggi un po’ si assomigliano in quanto a origini modeste ed alla lunga gavetta in provincia, al lento ma crescente riconoscimento da parte del pubblico, alle importanti frequentazione nel mondo dello spettacolo ed al successo globale finalmente raggiunto. Certo gli scenari e le culture di origine sono molto diverse ma entrambi oggi sono universamente riconosciuti per la loro genialità che li ha portati, solo per citare i risultati apicali, alla vincita di un Oscar e a vari Grammy Awards. La lettura dell’articolo mi ha ricordato che quest’anno Closing Time, il disco di esordio di Tom Waits, compie 50 anni e credo valga la pena tributargli i giusti onori che invece alla sua pubblicazione non raccolse. Waits all’epoca aveva solo 23 anni, qualche anno di esperienza musicale, sulle spalle molti vagabondaggi in varie città della west coast e un radicato anticonformismo che, qui in Italia vede il suo pari nella Lotta Proletaria. La sua nave scuola diventa il nightclub Troubadour di Los Angeles dove in quel periodo si esibiscono artisti del calibro di Tim Buckely, Neil Diamond e Frank Zappa e vengono invitati artisti emergenti stranieri come Elton John: qui conoscerà Ricky Lee Jones che qualche anno dopo diventerà la sua donna e la sua musa.

In quegli anni Tom Waits si esibisce in continuazione al Troubadour, cantando le sue canzoni ed accompagnandosi al pianoforte, con arrangiamenti in bilico tra il jazz ed il folk, con narrazioni quasi da beat generation ed iniziando a modellare la sua inconfondibile voce, incrostata di fumo e whisky. Inevitabile che qualcuno lo notasse: fu Herb Cohen, manager di Zappa, a proporgli la produzione delle sue prime canzoni e gli opening acts per il già famosissimo Frank Zappa… ma le cose non andarono bene né dal vivo né per il primo disco che venne accolto con freddezza. In realtà Closing Time, visto alla distanza di 50 anni risulta essere non solo un eccellente lavoro ma soprattutto l’annuncio di una rivoluzione nella musica rock che poi avrà piena fioritura nei dieci anni successivi. Dopo Closing Time (73) infatti vengono pubblicati a cadenza quasi perfettamente annuale quelli che ritengo tutti dei capolavori irrinunciabili: The Heart of Saturday Night (74), Nighthawks at the Diner (75), Small Change (76), Foreign Affairs (77), Blue Valentine (78), Heartattack and Vine (80), One from the Heart (82), Swordfishtrombones (83), Rain Dogs (85). Ma torniamo al disco d’esordio di quel magico 1973. Tom Waits dimostra di sapere scrivere testi poetici e trasporre in musica la sua esperienza personale, vissuta principalmente di notte, con amori fugaci, risvegli all’alba e fughe in macchina sulle gremite highway californiane. Nessuna delle 12 canzoni è da tralasciare, tutte a modo loro dimostrano maturità, grandi capacità di mescolare culture musicali diverse al servizio di un lavoro inquieto, crepuscolare ma allo stesso tempo splendente. Vale quindi la pena raccontarle brevemente queste 12 canzoni. Apre il disco Ol’ ’55 che in meno di 4 minuti ci racconta la malinconia di una fuga da un caldo amore a bordo di un mito americano, la OldsMobile, icona moderma del mezzo di trasporto tipicamente americano, il cavallo. Segue I Hope That I Don’t Fall in Love with You dove al pianoforte si sostituisce la chitarra ma il ritmo malinconico resta il medesimo con l’incipit che recita “Spero di non innamorarmi di te, Perché innamorarmi mi rende depresso”: sentimenti da giovane uomo ma espressioni poetiche da persona matura. In Virginia Avenue si passa a sonorità jazz, ritmo cadenzato da basso, piano e tromba ma ancora una storia notturna di riflessioni e delusioni di un giovane che non sa se il problema è dentro alla propria testa o nel mondo esterno. Old Shoes (& Picture Postcards) è una ballata di addio che in modo scanzonato termina con “Posso baciarti? Poi non mi vedrai più”. Midnight Lullaby è cantata quasi da crooner, incorniciato dalla tromba e Tom che racconta una semplice canzone d’amore. In Martha torna il ritmo di inizio disco, riflessioni su un vecchio amore, serenità da “giorni di rose, di poesie e prose”. Ancora il nome di una donna nella successiva Rosie, che quasi continua la precedente canzone dove al racconto di una storia finita si sostituisce quello di un rifiuto, ancora pianoforte ma anche archi per costruire la melodia. Testo semplice e poetico, musica scarna, ritmo struggente per Lonely, ennesima storia d’amore finita dove questa volta la protagonista è Melanie Jane. Ice Cream Man, ritmo da carillon iniziale subito convertito alla Cab Calloway, narra ancora una volta una storia d’amore vista dagli occhi di un gelataio. Segue Little Trip to Heaven (On the Wings of Your Love) ancora pianoforte e tromba ad incoronare la voce suadente di Waits che racconta il suo amore e lo definisce “la mia Stella Polare”. Ci avviciniamo alla fine del disco con Grapefruit Moon che procede al ritmo del piano e del basso per l’ultima canzone d’amore. E siamo alla fine con la strumentale Closing Time che chiude magnificamente questo lavoro con Tom Wait al pianoforte e Tony Terran alla tromba, nessuna parola da aggiungere ma soltanto la dichiarazione che siamo arrivato all’Orario di Chiusura come l’orologio in copertina del disco indica. Credo sia fondamentale conoscere questo lavoro per apprezzare i capolavori dei successivi anni dove la voce e le storie di Tom Waits diventeranno per sempre inconfondibili e magnifiche.
Davide Palummo, Ottobre 2023

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