E’ stato commovente stamane leggere sul Corriere l’intervista rilasciata
da Enzo Jannacci. Lui, il medico-cantautore milanese, “ateo laico molto
imprudente“, viene intervistato su Eluana (mi rifiuto di chiamarlo “casoâ€;
perché la signorina non è un caso, ma una persona). L’intervista ha un
tono appassionato come raramente è capitato di leggere in questi ultimi
mesi: “Cervello morto? Si usano queste espressioni troppo alla leggera. Se
si trattasse di mio figlio basterebbe un solo battito delle ciglia a
farmelo sentire vivo. Non sopporterei l’idea di non potergli più stare
accantoâ€. Il tutto termina con questa frase: «In questi ultimi anni la
figura del Cristo è diventata per me fondamentale: è il pensiero della sua
fine in croce a rendermi impossibile anche solo l’idea di aiutare qualcuno
a morire. Se il Nazareno tornasse ci prenderebbe a sberle tutti quanti. Ce
lo meritiamo, eccome, però avremmo così tanto bisogno di una sua carezza».
“Avremmo tutti bisogno di una carezza del Nazarenoâ€.
E’ lo Jannacci della grande compassione milanese che parla.
Lo stesso Jannacci di canzoni indimenticabili, di umanità rarissima
e partecipata, di realtà e dolore,
come Vincenzina e la fabbrica ed El portava i scarp del tennis,
come Guarda la fotografia e Se me lo dicevi prima.
Canzoni in cui prima ancora dei testi o delle musiche,
ad emergere è il senso della compassione, dell’umano da guardare
con infinita dolcezza. “Avremmo tutti bisogno di una carezza
del Nazarenoâ€. Grande Enzo: sarebbe piaciuto a Testori.
Il resto della canzone italiana segue a distanza.
E anche il resto del Paese….
(Walter Gatti)