Di solito si confrontano con le cover le giovani band alle prime armi presentandosi al loro pubblico con una manciata di riferimenti musicali come a voler dire “lì vogliamo arrivare; quelli sono i nostri modelliâ€. In questo caso la storia è completamente diversa: i componenti della band non sono proprio ragazzetti, non sono certamente alle prime armi e di sicuro hanno già dimostrato dove volevano andare. Stiamo parlando di Franz Di Cioccio, Lucio Fabbri, Paolo Bonfanti, Vittorio De Scalzi e Reinhold Kohl che hanno pubblicato recentemente Elephant’s Memory, un album di cover blues-rock, e vanno in giro per l’Italia sotto il nome di Slow Feet a promuoverlo, spesso appoggiando campagne sociali (come quella della Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori). I cinque “ragazzi†sono tutti più o meno personaggi noti con alle spalle esperienze importanti che si sono intrecciate con la Scuola Genovese e con Fabrizio De André, comunque con la grande stagione musicale italiana degli anni 70 che ha prodotto il fenomeno internazionale della PFM, quello più nostrano dei New Trolls e successivamente sulla scena del blues italiano i Big Fat Mama. La super band è molto affiatata e lo dimostra appieno dal vivo (ho avuto l’opportunità di vederli di recente a Sestri Levante al teatro Ariston) dove aggiunge alla lista delle canzoni presenti sul CD alcune chicche come un blues in genovese ed una bella versione di Little Wing di Jimi Hendrix (audace confrontarsi con il più grande chitarrista di tutti i tempi e con un pezzo magistrale come questo; ma Bonfanti non è solo mancino come Jimi, ha anche un ottima tecnica e passione per la chitarra blues). Le atmosfere ed il suono sono di grande impatto: il violino di Fabbri e la chitarra di Bonfanti si mescolano perfettamente con i ritmi delle tastiere di De Scalzi e della batteria di Di Cioccio con il pieno supporto del basso di Kohl. La tracklist del CD è molto interessante e va a pescare tra i grandi interpreti del rock degli anni 60-70 e ci racconta le passioni degli Slow Feet: My generation (The Who), All along the watchtower (Bob Dylan), The last time (The Rolling Stones), Manic depression (The Jimi Hendrix Experience), White room (Cream), Dr. Robert (The Beatles), We’ve got to get out of this place (The Animals), A whiter shade of pale (Procol Harum), All day and all of the night (The Kinks). Ci sono tutti i semi del brit rock e sembra risuonare, anche se molto lontano, l’urlo di Daltrey che nel
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